venerdì 10 giugno 2011

La cartella del professore


La cartella del professore Stampa E-mail
Recensione a cura di Mariella Soldo per il GREC  (http://www.grec.uniba.it)
Ci sono romanzi che, dopo averli letti, hai la sensazione che assomiglino a broccati raffinati, perfetti, tessuti con cura, rifiniti con attenzione. La cartella del professore di Kawakami Hiromi, scrittrice giapponese, tradotta per la prima volta in Italia da Einaudi, è uno di quei casi. Sfogliarne le pagine è come accarezzare una stoffa pregiata. Difficile stabilire chi sono i protagonisti del romanzo: il cibo, luogo d’incontro casuale? Omachi Tsukiko, l’ex allieva innamorata del professore Matsumoto Harutsuma? O la cartella che l’anziano professore non abbandona mai?
Il testo è intriso di solitudine, ma quella solitudine necessaria per stabilire una vicinanza, solitudine che di notte si fa poesia, con gli haiku, o solitudine che si trasforma semplicemente in silenzio: “Allora sono uscita. Per accertarmi di non essere l’unica a vivere, l’unica a sentire la solitudine dell’esistenza. Ma guardare i passanti non è servito a darmi questa certezza. Anzi, più la cercavo, più mi sfuggiva” (p. 66).
Attraverso i due personaggi, l’autrice ci mostra anche le due generazioni del Giappone: quella del professore, che parla con eleganza, legge male l’inglese, osserva le vecchie tradizioni, criticando la contemporaneità che ha ucciso la poesia, e quella della giovane donna, che parla un nuovo linguaggio, tutto contemporaneo, legge bene l’inglese, osserva le tradizioni occidentali, e non si accorge della morte della poesia. Cosa fa da ponte tra i due protagonisti? Cosa li unisce in un legame puro, delicato, fatto di accenni e di parole non dette? Ma soprattutto: cosa conteneva la cartella del professore? Perché la portava sempre con sé?

Kawakami Hiromi, La cartella del professore, Torino, Einaudi, 2011.


1 commento:

  1. Questo libro mi perseguita... sarà il destino, e sarà forse il caso di leggerlo. Anche perchè a quanto pare è un piccolo gioiello.

    J.

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